Parlando di diritto del lavoro è innanzitutto necessario contestualizzare il ruolo dell’avvocato che si occupa di tale branca e capire quando effettivamente è necessario richiedere una sua consulenza.
Infatti bisogna considerare che l’attività dell’avvocato non necessariamente implica il procedimento ed il giudizio, e che il lavoratore ha la necessità di rivolgersi al suo operato ogni volta che vede minati i suoi diritti, ovvero ogni volta che necessita di indicazioni su come gestire la sua esperienza lavorativa nel rispetto dei canoni della complessa normativa giuslavoristica; tenendo dunque presente non solo l’attività giudiziale dell’avvocato, ma anche e soprattutto quella stragiudiziale, che può contribuire ad indirizzare il lavoratore verso una più serena risoluzione delle eventuali problematiche sorte nel corso della sua attività lavorativa.
All’art. 1 della Costituzione Italiana leggiamo che “L’Italia è una Repubblica Democratica, fondata sul Lavoro…”, proprio da qui si desume l’importanza cruciale che il lavoro e la relativa disciplina hanno assunto nel vasto sistema normativo che regola il nostro stato; al giuslavorista spetta quindi non solo il compito di servire il lavoratore, ma soprattutto quello di servire uno dei complessi normativi più importanti del nostro sistema.
Dall’unità d’Italia in poi, i poteri legislativi susseguitisi nel tempo, hanno cercato di disciplinare il lavoro in maniera sempre più puntuale mirando a bilanciare le esigenze della produzione con i diritti fondamentali dei lavoratori. In questo modo si è verificata una proliferazione e una stratificazione di norme che hanno reso il campo giuslavorista uno dei più articolati e complessi della normativa Italiana.
All’interno di questa giungla normativa il lavoratore spesso si smarrisce e vede non riconosciuti alcuni suoi diritti o peggio viene sfruttato attraverso delle forzature legali più o meno vistose: ora dobbiamo avere ben presente che il lavoratore medio non ha alcuna conoscenza del diritto, e spesso sindacati vari e ispettorati non lo aiutano di certo a ritrovare il sentiero verso una serena vita lavorativa. Inoltre se guardiamo alla storia italiana, dove l’omertà ed il lavoro cd. in nero sono presenti, in modo molto significativo, nei mestieri in cui spesso vediamo impiegati lavoratori con una scarna cultura e consapevolezza giuridica, ci rendiamo conto che sovente le molteplici differenze normative non vengono percepite nel mondo del lavoro vero e proprio; anzi la presunta elasticità, volta ad un inserimento dei lavoratori più sereno e agevole, può essere sfruttata dalle aziende per ottenere vantaggi giuridici e sgravi fiscali. Proprio in questi frangenti diventa necessario rivolgersi ad un avvocato del lavoro.
Il suddetto ha quindi competenze che rendono più semplice la risoluzione delle controversie sorte nell’ambito dell’attività lavorativa, può illuminarci su quali effettivamente siano i nostri diritti e su come tutelarli. Non dobbiamo infatti pensare che sia necessario ricorrere ad un avvocato solo quando vi sia un procedimento (e sulla peculiarità del procedimento presso il giudice del lavoro diremo più avanti), ma l’operato del professionista inizia da prima e spesse volte mira persino ad evitare che si instauri un procedimento vero e proprio mediante quella che si chiama risoluzione stragiudiziale delle controversie.
Peculiarità Studio Legale GiusLavorista Roma
La complessità e l’importanza delle norme disciplinanti il lavoro, insieme anche ad una serie di circostanze esterne, comportano una serie di problematiche sia nell’ambito applicativo che interpretativo del diritto.
Infatti, se è vero che giuridicamente il lavoratore ed il datore di lavoro si trovano formalmente sullo stesso piano, operando cioè in posizione di parità, è vero anche che, da un punto di vista economico e pratico, il lavoratore si trova senz’altro in una posizione di inferiorità: diventando quindi il contraente più debole.
Le cause di tale inferiorità sono identificabili sia nella dipendenza economica, sia nella subordinazione tecnica.
Si intende per dipendenza economica la strutturale disoccupazione che caratterizza il mercato del lavoro, tale che ogni lavoratore, in astratto, tenderà ad operare in modo tale da mantenersi il posto di lavoro. La subordinazione tecnica invece, cioè il fatto di essere subordinato al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, è endemica di ogni attività lavorativa.
Il rapporto di lavoro quindi, si sostanzia in un contratto sinallagmatico in cui il lavoratore presta le sue energie lavorative a favore di un altro soggetto, in cambio di un corrispettivo in denaro detto remunerazione. Per questo il diritto del lavoro non può che avere come obiettivo quello di fornire una tutela forte alla parte più debole del rapporto.
Questa disparità a scapito del lavoratore è presente anche qualora lo stesso dovesse trovarsi ad avviare un procedimento contro il suo datore di lavoro in caso di licenziamento: infatti si ritroverebbe dinanzi al grande problema della durata del giudizio, mentre, per necessità intrinseca al diritto, qualunque procedimento dovrebbe durare il minimo indispensabile consentendo il normale prosieguo dei rapporti giuridici.
L’intenzione della cd. Legge Fornero (legge 92/2012) era introdurre una novazione legislativa che potesse diminuire la durata delle cause aventi ad oggetto i licenziamenti; ed è vero che rispetto alla precedente disciplina, il tempo si ridurrebbe da sei anni e mezzo circa a uno e mezzo. Tuttavia non solo il tempo può variare a seconda del tribunale e del giudice, ma bisogna anche tenere in considerazione che, qualora il procedimento durasse effettivamente un anno e mezzo, comunque il lavoratore si ritroverebbe per tale tempo senza una remunerazione e senza la certezza del rapporto.
Diverse volte si è cercato di ridurre i tempi processuali riformando il giudizio, tuttavia il problema persiste in quanto non è possibile quantificare la durata delle varie fasi in cui si articola la procedura, la dilatazione dei tempi tra un’udienza ed un’altra potrebbe quindi vanificare la celerità ricercata nella novella legislativa. Allora forse sarebbe il caso di ricercare quella celerità tanto agognata nel potenziamento delle strutture giudicanti e degli strumenti conciliativi precontenziosi.
Una volta poi che il lavoratore decida di iniziare un procedimento, bisogna tener presente che questo si troverà a far fronte alle spese legali. Anche nei procedimenti dinanzi al giudice del lavoro la liquidazione delle spese legali segue in linea di massima la regola della soccombenza, tuttavia le parti, come è ovvio, anticipano le spese ai loro legali. Poniamo il caso di un lavoratore con famiglia che, in questo momento di crisi, viene licenziato: ammesso e non concesso che gli venga liquidato il tfr, si troverà senza una remunerazione fissa; in più, iniziando un procedimento contro l’ex datore di lavoro, dovrà pagare una somma iniziale al proprio avvocato e, se, per avventura, dovesse soccombere, potrebbe dover pagare tutte le spese legali. Chiaramente ci penserà più di una volta prima di intentare causa al datore di lavoro.
Aspetti Delicati del Diritto del Lavoro
Certamente se il complesso normativo che regola l’attività lavorativa, denominato diritto del lavoro, rappresenta una selva a volte impercorribile per il lavoratore, pone una serie di difficoltà anche all’avvocato stesso che decide di occuparsene.
Si inizia a parlare di diritto del lavoro tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, l’idea che ci potesse essere un diritto volto alla tutela delle persone che prestavano la propria attivita lavorativa, in effetti, presuppone che vi sia una coscienza di classe. Da quel momento in avanti le norme inerenti tale ambito sono prolificate senza fine, passando per il Codice Civile del 1942, con cui finalmente si ha una sistemazione organica della materia nel libro V, attraverso l’approvazione della Costituzione della Repubblica del 1948, che all’art. 1 statuisce la stessa Repubblica è basata sul lavoro, per poi arrivare a leggi più moderne come il cd. Statuto dei Lavoratori (l. 300 del 1970) o la ancora più recente legge Fornero (l. 92 del 2012). Questa serie infinita di leggi, volte a regolamentare nuovi metodi di prestare il lavoro o a disciplinare meglio quelli vecchi, ha comportato una stratificazione normativa che rende difficoltosa non solo l’interpretazione delle stesse, ma persino la loro consultazione.
Se alla difficoltà di costruzione della competenza uniamo anche la clientela con cui l’avvocato del lavoro si confronta, possiamo evidenziare un ulteriore problema: sono perlopiù lavoratori, che non possiedono un grande potere d’acquisto e che, spesso, non possono assicurare all’avvocato onorari di un certo tipo.
All’avvocato, quindi, spetta l’arduo compito di mediare interessi dei lavoratori con interessi aziendali che sono parimenti importanti, di cercare di risolvere stragiudizialmente controversie che possono avere ad oggetto la vita lavorativa di una persona con ripercussioni ben oltre la certezza del diritto e di confrontarsi con problematiche giuridiche complesse e di difficile discernimento.
Anche quando si trovasse dalla parte del datore di lavoro, le cose non migliorerebbero di certo: la ricerca della tutela più ampia e completa del lavoratore si è risolta in una serie di restrizioni normative che incidono negativamente sul concetto di impresa e di libero mercato.
Persino le pronunce giurisprudenziali subiscono l’eccessiva complessità ed articolazione normativa, finendo per contribuire a creare un sentimento di incertezza e di sfiducia che spesso spinge il lavoratore a rinunciare a qualunque possibile iniziativa volta alla tutela dei suoi interessi.
Consulenza e Pareri Aziende e Lavoratori
Come precedentemente accennato l’avvocato del lavoro, oltre ad occuparsi di mansioni gudiziali, svolge anche un’importante funzione stragiudiziale che si sostanzia in attività stragiudiziali ordinarie e straordinarie.
Per quanto riguarda il primo gruppo, di esso fanno parte attività che spaziano dalla semplice consulenza del cliente, alla stesura di pareri; dalla predisposizione di nuovi modelli contrattuali, alla gestione di contratti in essere mediante modifiche e accordi. Insomma tutti quei compiti che l’avvocato, a prescindere che si occupi di diritto del lavoro o meno, non svolge in sede di giudizio.
Più interessanti sono invece le mansioni inerenti il secondo gruppo, che riguardano l’attività del giuslavorista in senso stretto:
– assistenza legale nelle procedure di licenziamento collettivo;
– assistenza legale nella predisposizione di piani di incentivazione dei lavoratori;
– predisposizione di specifici accordi volti ad arginare la crisi;
– assistenza legale volta alla stesura di un regolamento di azienda che possa evitare problematiche quali mobbing, discriminazione, molestie sessuali.
L’importanza miliare di tali attività si intende facilmente: la possibilità, da parte di un’impresa, di potersi regolamentare in maniera tale da evitare che insorgano controversie inerenti il mobbing, oppure il poter ideare dei piani, in conformità con la normativa del lavoro, che possano incentivare il lavoro in azienda, può fare la differenza.
Processo del Lavoro
Per quanto invece concerne le attività giudiziali dell’avvocato del lavoro, è dapprima necessario parlare del rito del lavoro. In ragione dell’estrema criticità degli interessi che il diritto del lavoro difende e regola, il legislatore ha previsto un rito ad hoc, che si differenzia dal rito processuale civile sia per durata che per modalità.
La specialità del rito, introdotto con la legge n. 533 del 1973, consiste in una maggiore celerità dello stesso, nell’ampliamento dei poteri istruttori conferiti al giudice e in un maggior favor volto alla conciliazione. I principi a cui si ispira questo tipo di procedimento sono l’oralità e la concentrazione.
Il rito speciale si applica, davanti al giudice del lavoro, nelle controversie inerenti rapporti di lavoro subordinato, sia pubblico che privato, compresi i rapporti in cui il lavoratore sia alle dipendenze di datori non imprenditori.
Vediamo adesso le varie fasi processuali:
La domanda, che da inizio al procedimento, si propone con ricorso. Essa deve contenere necessariamente alcuni elementi: l’indicazione del giudice, le informazioni inerenti le generalità dell’attore e del convenuto, l’oggetto della domanda, l’esposizione dei fatti e la ragione di diritto su cui si fonda la domanda stessa, le conclusioni e l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti. Presentato il ricorso presso la cancelleria del giudice, questi fissa entro 5 giorni, con decreto, la prima udienza di comparizione; che si tiene nei 60 giorni successivi alla presentazione del ricorso e dove le parti devono essere presenti personalmente. Depositato il ricorso ed emesso il decreto, questi vanno notificati al convenuto entro 10 giorni, mentre tra la notifica e l’udienza ne devono passare almento 30: questo è il tempo necessario al convenuto per prepare la strategia difensiva.
Il convenuto ha l’obbligo di costituirsi almeno 10 giorni prima dell’udienza, altrimente vede venire meno la possibilità di sollevare eccezioni e proporre domande riconvenzionali.
Nell’udienza il giudice, in ottemperanza ai principi su cui si fonda il diritto del lavoro, interroga le parti e avanza una proposta di conciliazione, il cui espresso rifiuto senza giustificato motivo può essere valutato ai fini del giudizio; mentre dall’assenza di una delle parti all’udienza, il giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c.
A questo punto, se la conciliazione va a buon fine, il giudice redige un verbale che vale come titolo esecutivo; altrimenti il giudizio procede con l’esame delle questioni pregiudiziali e con l’ammissione delle prove richieste dalle parti. Sebbene l’assunzione delle prove possa avvenire nella stessa udienza, spesso il giudice, a tal fine, opera rinvio ad un’altra udienza.
Altra peculiarità del rito del lavoro è riscontrabile nei maggiori poteri di cui gode il magistrato giudicante, che si evidenziano anche sotto l’aspetto istruttorio.
La sentenza con cui il giudice termina il primo grado di giudizio è immediatamente esecutiva. Tuttavia questa può essere sospesa dal giudice d’appello al verificarsi di alcune circostanze:
– quando l’esecuzione potrebbe comportare gravissimo danno al datore (chiaramente se l’attore è il lavoratore)
– quando ricorrono gravi motivi e l’esecuzione è iniziata
– quando vi sono gravi e fondati motivi.
In caso di ricorso in appello è importante notare che in tale grado di giudizio non è possibile mutare la domanda né introdurre domande nuove o eccezioni. Non è possibile nemmeno nuovi mezzi di prova, salvo che il Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione. Le pronunce in grado d’appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione secondo i principi generali in tema di impugnazioni.
Licenziamento e Recupero crediti
Per meglio comprendere l’ambito di applicazione del rito speciale del lavoro, è d’uopo passare in rassegna le cause più ricorrenti:
- Le cause contro ingiusto licenziamento. La disciplina inerente queste cause è stata oggetto di una novella legislativa, il Jobs Act(DL. 23/2015). Questa stabilisce una disciplina diversa a seconda che il rapporto di lavoro sia sorto prima del 07/03/2015 o dopo. Infatti nel primo caso, nell’ipotesi di licenziamento nullo o inefficace vige la c.d. tutela reintegratoria piena, mentre negli altri casi le tutele variano a seconda delle dimensioni del datore di lavoro e dei vizi dell’atto di licenziamento. Nel secondo caso invece si applicano le tutele previste dal Jobs Act, il quale ha sostanzialmente ridotto le ipotesi in cui il giudice può optare per una reintegrazione piena del lavoratore.
- Altre cause tristemente soventi riguardano il mancatopagamento degli stipendi. Nell’ipotesi in cui il lavoratore si veda non corrisposto il salario, può percorrere due strade: o cercare un’intesa con l’azienda e, qualora la trovasse, firmare l’intesa con la controparte presso la direzione provinciale del lavoro facendole assumere validità di titolo esecutivo; oppure intentare un’azione legale mediante un avvocato che presenterà un decreto ingiuntivo. In questo secondo caso passerà molto tempo prima che il lavoratore possa sperare di ottenere qualcosa dal suo datore di lavoro, che, presumibilmente, si opporrà al decreto ingiuntivo al solo fine di dilatare i tempi già molto lunghi di tale procedimento. Infatti, a sentenza ottenuta, ammesso e non concesso che il lavoratore vinca la causa, il datore potrà decidere di non pagarlo ugualmente e allora diverrà necessaria un’esecuzione forzata. Non è necessario evidenziare le difficoltà che comporterebbe per un lavoratore rimanere senza salario per un periodo di minimo 4 anni.
- Spesso accade anche che il lavoratore non si veda corrisposto il Tfr, cioè il trattamento di fine rapporto. Anche in questo caso, come nel mancato pagamento degli stipendi, il lavoratore dovrà rivolgersi ad un avvocato che proporrà un decretoingiuntivo e, nel caso di inottemperanza, un’esecuzione forzata. Se si arrivasse a presentare istanza di fallimento e comunque, nonostante tutte le attività giudiziali svolte, il lavoratore non riuscisse a farsi corrispondere il tfr; allora sarà tutelato dalla possibilità di rivolgersi al fondo di garanzia statuito dall’Inps per ottenere le ultime tre mensilità, nel caso non siano state corrisposte e il pagamento del tfr. Va sottolineato che il procedimento presso il fondo di garanzia dell’Inps è esente, quindi non necessita di marche da bollo o contributi unificati.
Trasferimento e Demansionamento
Vi sono altre cause che, pur verificandosi meno soventemente, hanno un’importanza cruciale per capire la ratio dietro la normativa giuslavoristica:
- Le cause contro il trasferimento: l’art. 2013 c.c.dispone a tal proposito che il datore di lavoro può trasferire il lavoratore solo se sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive. Pertanto dovrà provare che il lavoratore non sia più utile nella sede di provenienza, che sia indispensabile in ragione della sua professionalità nella sede di destinazione e che vi siano delle ragioni specifiche che lo hanno indirizzato verso la scelta di quel preciso lavoratore. Va inoltre sottolineato che, avvenuto il trasferimento, il lavoratore non può essere adibito allo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle che svolgeva nella precedente sede. La l. 183/2010 disponde che entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione del trasferimento, il lavoratore lo debba impugnare, dopo ciò ha 180 giorni per depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. In quest’ultimo caso se il tentativo non va a buon fine entro 60 giorni il lavoratore deve depositare il ricorso in tribunale.
- I procedimenti per mancato versamento dei contributi: innanzitutto bisogna ricordarsi che il mancato versamento è punito dalla legge con sanzioni civili e penali, che possonno arrivare alla reclusione per appropriazione indebita. Il lavoratore, deve informare immediatamente l’INPS che, di concerto con l’Agenzia delle Entrate, provvederà ad effettuare la verifica dei versamenti del datore di lavoro.
- Le cause contro il demansionamento: l’art. 2103 c.c.nel regolare lo jus variandi, stabilisce che il datore di lavoro ha la facoltà di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o superiori (nel qual caso sarà necessario adeguare il compenso). Tuttavia esistono delle eccezioni in cui è il cd. Patto di demansionamento risulterebbe valido, cioè in circostanze di estrema gravità. Il Jobs Act ha introdotto delle novità anche in questo campo, infatti stabilisce che in caso di variazione degli assetti organizzativi aziendali, il lavoratore può essere adibito a mansioni inferiori. Tuttavia la modifica non dovrà intaccare il livello contributivo raggiunto. Detto questo, in caso di demansionamento illeggittimo il lavoratore potrà contestarlo davanti al giudice del lavoro e richiedere, ove possibile, il risarcimento del danno.
- Le cause contro il mobbinge le pressioni psicologiche a lavoro: il mobbing, dall’inglese to mob che significa molestare, assalire, consiste in una serie di vessazioni e violenze perpretate a danno di un lavoratore da parte di suoi colleghi o superiori. La grande problematica giuridica dietro tale fenomeno, consiste non solo nella difficoltà di provare che effettivamente si stia verificando, ma anche nella mancanza di una legislazione puntuale. Il fatto che si tratti di un fenomeno complesso e perpretato nel tempo non contribuisce certo a risolvere le varie problematiche che vi aleggiano intorno. Il lavoratore che rimane vittima del mobber può chiedere un risarcimento danni e lo stesso mobber può incorrere in diversi reati a seconda della gravità delle sue azioni (lesioni, percosse, ingiurie, diffamazione etc.).
Consulente del Lavoro
Un altro elemento fondamentale per garantire una buona tutela del lavoratore all’interno del procedimento e per permettere al giudice di decidere nel merito in modo più agevole, è rappresentato dalle consulenze tecniche. Il consulente tecnico entra in gioco quando è necessario, per la alta specializzazione richiesta dalla materia, che ci sia un parere professionale su un determinato punto. Non possiamo infatti pretendere che il giudice sia onniscente, egli ha il dovere di applicare la legge in modo implacabile, e proprio per questo in alcune occasioni ha la necessità che qualcuno dia un parere professionale su un determinato fatto. Allorquando ci si trova in una situazione di questo tipo, le parti o il giudice stesso, a seconda che la consulenza tecnica sia d’ufficio o di parte, possono avvalersi del know how dei professionisti del lavoro: commercialisti, consulenti del lavoro, ovvero esperti contabili che possano verificare se la contabilità di una società rispetti le normative vigenti.
Contratto di Lavoro
Si è sostenuto che il rapporto di lavoro è un contratto sinallagmatico in cui una parte, il lavoratore, presta la sua opera avendo come controprestazione un corrispettivo, denominato salario, da parte del datore di lavoro.
A proposito del lavoratore possiamo dire che rientra in tale categoria qualunque soggetto che presta la propria attività in cambio di corrispettivo, poi la sua attività può avere il carattere dell’autonomia, e si parlerà dunque di lavoro autonomo, oppure della subordinazione. In quest’ultimo caso egli avrà il l’altra parte del contratto di lavoro sarà il datore di lavoro, il quale sarà titolare del potere direttivo e di quello disciplinare ed avrà come obbligo quello di corrispondere una remunerazione al lavoratore. Per potere direttivo si intende la facoltà del datore di lavoro di indirizzare la forza lavoro nella direzione che ritiene più idonea al fine di massimizzare i frutti della sua impresa; mentre per potere disciplinare quello di sanzionare i lavoratori nei casi previsti dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori.
Altra figura centrale nel diritto del lavoro è il giudice del lavoro: nell’ordinamento processuale italiano, questi si concretizza in una sezione specializzata della magistratura ordinaria, che ha competenza a giudicare in particolari materie inerenti il lavoro.
Sanzioni del Lavoratore
All’interno del rapporto il lavoratore ha degli obblighi che deve rispettare, come quello di diligenza (art. 2104 c.c.) e quello di fedeltà (art. 2105 c.c.). In caso di violazione, il datore di lavoro può adottare delle sanzioni disciplinari. Il procedimento disciplinare inizia con la contestazione scritta del fatto e durante tutta la sua durata è garantita il contraddittorio e il diritto alla difesa del lavoratore. Inoltre il datore, se la durata del procedimento sia incompatibile con la presenza del lavoratore nell’azienda, può sospenderlo.
La sanzione comminata dal datore deve rispettare il principio della proporzionalità, unica eccezione qualora il lavoratore si presentasse recidivo; inoltre possono essere di diversi tipi:
– Rimprovero verbale e ammonizione scritta per le infrazioni più lievi;
– Multa, ovvero una trattenuta in busta paga di un massimo di 4 ore di retribuzione base;
– Sospensione per un massimo di 10 giorni. Ovviamente senza remunerazione;
– Licenziamento: sebbene lo statuto dei lavoratori esclude la leggittimità di sanzioni disciplinari causanti una mutazione definitiva del rapporto, questo non significa che il datore di lavoro non possa decidere di licenziare per giusta causa il lavoratore.
Oltre alle sanzioni disciplinari, è possibile che il lavoratore incorra in sanzioni penali o amministrative durante lo svolgimento della sua attività lavorativa. La responabilità penale è personale, e i reati che più spesso vedono protagonisti i dipendenti riguardano le violazioni in tema di prevenzione infortuni e igiene del lavoro e le infrazioni in tema di prestazioni sanitarie ed economiche nell’ambito dei assicurazioni sociali ed obbligatorie. Bisogna inoltre ricordare che la legge n. 689 del 1981 ha depenalizzato numeri illeciti trasformandoli da penali in amministrativi. A proposito della responsabilità amministrativa dei dipendenti, questa si risolve di solito nel pagamento di una somma di denaro, ma potrebbe comportare anche la cessazione del rapporto.
Sanzioni del datore imprenditore
Come il lavoratore, anche il datore di lavoro può essere soggetto a sanzioni di diversi tipi. Egli infatti ha l’obbligo di garantire la sicurezza e l’igiene all’interno dei luoghi di lavoro e di permettere al lavoratore di svolgere serenamente la sua attività lavorativa. La grande discriminante, rispetto alla responsabilità del lavoratore, è ravvisabile nel principio societas delinquere et puniri potest. Va da se che il lavoratore viene ancora più tutelato e diminuiscono molto le possibilità che venga punito un singolo datore nel caso delle società o peggio che non venga punito nessuno. Interessante è inoltre la responsabilità per fatto del proprio dipendente: infatti, qualora un dipendente dovesse cagionare un danno senza colpa ne dolo, a risponderne sarebbe il datore di lavoro. Per quanto concerne la responsabilità penale ed amministrativa vale quanto detto in merito al lavoratore.
Fonti
Per quanto riguarda le fonti del diritto del lavoro, bisogna operare una prima distinzione tra fonti nazionali e sovranazionali.
Rientrano tra le prime la Costituzione, le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge e i loro regolamenti di attuazione.
Tra le seconde abbiamo i Trattati Internazionali, le convenzioni dell’O.I.L. (Organizzazione Internazionale del Lavoro), i regolamenti e le decisioni dell’UE.
Abbiamo poi le fonti contrattuali e sindacali, che si sostanziano nei contratti individuali e collettivi di lavoro.